La sfida che Dio ci pone


 13 Luglio

LA SFIDA CHE DIO CI PONE

"Poi udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? E chi andrà per noi?». Allora io risposi: «Eccomi, manda me!»" (Isaia 6:8).

È prassi normale di Dio operare nel mondo e fra il Suo popolo attraverso la mediazione umana. Egli sceglie coloro che saranno strumentali per l'esecuzione dei Suoi piani spesso senza che neanche essi se ne siano consapevoli (come ad esempio il re persiano Ciro, attraverso il quale Dio provvede il ritorno di Israele dall'esilio babilonese in Palestina). Egli si compiace, però, di sollecitare la volenterosa risposta di coloro che fra il Suo popolo Egli sceglie come Suoi portavoce e ministri.

L'appello che Dio, l'eterna Trinità [notate qui il plurale "chi manderemo?"] rivolge a Isaia, è più che una formalità o una domanda retorica. È una chiamata a partecipare ai progetti di Dio. È simile al privilegio e responsabilità del mandato di Gesù ai Suoi discepoli: "Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Matteo 28:19). Isaia si sente inadeguato al compito che gli è stato affidato, ma Dio provvede, purificandolo e fornendogli le risorse necessarie: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato» (7). Non dobbiamo temere di non riuscire a fare ciò che Dio ci comanda di fare: se non potessimo non ce l'avrebbe chiesto... È bene, dunque, che confessiamo la nostra inadeguatezza: l'importante è far uso delle risorse che Dio ci mette a disposizione per superarla.

Notate come Isaia venga preparato a rispondere all'appello: attraverso una visione dell'Eterno: "vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio" (1). Improvvisamente il tempio materiale in cui probabilmente Isaia in quel momento pregava, dà luogo all'eterno: tutto intorno a lui rivela una realtà superiore sovrastata dalla gloria di Dio. Isaia contempla la gloria di Cristo: "Queste cose disse Isaia, perché vide la gloria di lui e di lui parlò" (Giovanni 12:41).

Questo lo conduce a vedere la condizione del suo stesso cuore: "Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure" (5). È di fronte allo splendore della gloria di Dio che vediamo chi veramente siamo. Probabilmente a Gerusalemme non c'era alcun altro che fosse più vicino a Dio che Isaia, ma egli apprende che Dio è "tre volte santo" (3) quando scopre che l'intero universo è ripieno di Dio. È allora che si rammenta quanto male vi sia nel suo cuore e grida: "Guai a me! Sono perduto!" (5). Come sarebbe importante che sempre più uomini e donne anche oggi, rinunciassero alle loro pretese e riconoscessero di essere perduti, invocando il Salvatore!

Quando però Isaia confessa di essere peccatore, Dio provvede a purificare la sua anima dal peccato. È allora che è in grado di dire: "Eccomi, manda me!".

Probabilmente non saremo chiamati a svolgere un compito simile a quello di Isaia, ma Dio chiama anche noi ad essere coinvolti nei Suoi progetti. Proponiamoci con fiducia, non prima, però, di chiedere che Dio ci purifichi e ci dia le risorse necessarie per svolgere il compito a cui ci chiama. Egli lo farâ.

PREGHIERA

Signore, dacci orecchi per udire, occhi per vedere, volontà per ubbidire, un cuore per amare. Così dichiareremo la Tua volontà, riveleremo ciò che Tuvuoi, domanderemo ciò che Tu vuoi. Amen.