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Una condanna a morte per poter rinascere a nuova vita

Page history last edited by Paolo E. Castellina 4 years, 5 months ago
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Il comportamento che si definisce "stoico" indica oggi generalmente quello di chi sopporta con forza d’animo e impassibilità sofferenze fisiche e morali, che dimostra forza, determinazione, fermezza, rigorosa disciplina personale. Era quello dimostrato, insieme ad altre caratteristiche, dai seguaci dell'antica filosofia greca dello stoicismo [1], che pure ha paralleli in altre culture. Il personale rigoroso impegno morale e spirituale, però, è pure quello a cui è chiamato il cristiano che, volendo essere degno di tale nome, intende seguire l'insegnamento del Nuovo Testamento. Le espressioni usate dall'apostolo Paolo nel testo biblico che esaminiamo oggi, a questo riguardo sono inequivocabili.
"Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri" (Galati 5:24-26).
L'apostolo Paolo conclude qui la sua elencazione delle opere "della carne" (quelle dell'egocentrismo terreno) e dei frutti dello Spirito con un'affermazione riassuntiva a riguardo dell'esigenza che abbiamo, come cristiani, di mortificare la nostra natura peccaminosa: "Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (24), come pure sulla vita vissuta nello Spirito di Cristo: "Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito" (25).

Perché si consolidi in noi la vita nello Spirito di Cristo è necessario "far morire la carne", vale a dire, trattarla duramente, nientemeno che "crocifiggerla"! Appartenere a Cristo vuol dire avere "crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (il suo egocentrismo con le passioni e i desideri che esso produce). Il tempo che Paolo qui usa è il passato, per indicare qualcosa che già deve essere successo per il credente all'inizio del cammino della sua vita di fede, cioè aver preso la risoluzione netta e spietata, assoluta ed irreversibile come una crocifissione, di rinunciare al male. In un'antica liturgia battesimale si chiede al battezzando: "Rinunci al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio?", al che egli risponde: "Rinuncio". E poi: "Rinunci alle seduzioni del male per non lasciarti dominare dal peccato?", "Rinuncio"; "Rinunci a Satana, origine e causa di ogni peccato?", "Rinuncio". Se il ravvedimento e la rinuncia al male sono "fatali" come la crocifissione, questo significa che il cristiano dice un no assoluto e senza condizioni a tutti i desideri peccaminosi ed alle passioni.

La rinuncia al male, però, non è solo un voto battesimale, ma una disciplina pratica quotidiana. Ad ogni proposta o tentazione di cedere a ciò che Dio considera un male, il cristiano così dice: "Assolutamente no". Si tratta di una vera e propria lotta spirituale: "Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro" (17). La natura peccaminosa, infatti, non sarà mai completamente sradicata in noi in questa vita. E' quindi è necessario essere sempre impegnati a lottare contro di essa. L'espressa rinuncia a ciò che Dio considera un male non è qualcosa di qualcosa di "negoziabile": deve essere chiaro e definito. Non vi può essere alcuna trattativa di pace con Satana.

Il perfezionista che parla come se la sua natura peccaminosa fosse stata completamente sconfitta si inganna ed ha perduto di vista l'inevitabilità di questa lotta quotidiana. Il pessimista che si scoraggia dicendo che "tanto è una guerra inutile perché perduta" cede troppo presto le armi e perde di vista il fatto che possiamo essere vittoriosi identficandoci attivamente con Cristo sulla croce.

L'esecuzione della "condanna a morte" della nostra natura peccaminosa è seguita dall'attiva espressione della nuova vita nello Spirito: "Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito" . Tradurre quel "camminiamo" senza ulteriori qualifiche potrebbe quasi sembrare un "andare a fare una passeggiata di piacere", mentre, in realtà, il verbo che così traduciamo, nell'originale greco, è στοιχέω [stoicheo], cioè "marciare al passo", da cui, meglio tradotto, sarebbe "marciamo secondo lo Spirito". Si tratta del camminare in schiera secondo una particolare cadenza imposta dal tamburo, o dall'uno-due di chi comanda il drappello. E' dunque un termine militare che implica disciplina, impegno e ubbidienza, e "la cadenza" della marcia è imposta dallo Spirito di Cristo!

I tempi dei verbi usati da Paolo nell'originale sono: indicativo ("Se viviamo"), e imperativo: ("Camminiamo", letteralmente: marciate al passo!). E' la stessa combinazione dei versetti 1 ["Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi" ] e 13 ["Voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne"]. L'imperativo esprime la nostra responsabilità di proteggere la nostra libertà dalla schiavitù sotto la legge, di far uso della nostra libertà per servire l'uno all'altro nell'amore e di "tenere il passo" imposto dallo Spirito. E' lo Spirito, infatti, che "batte il tempo della marcia": il che implica concentrazione e disciplina: non possiamo rallentare o andare troppo veloci.

L'esempio pratico di questo l'Apostolo lo fornisce al v. 26: "Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri" (Non dobbiamo quindi più essere gonfi di orgoglio). I cristiani della Galazia si erano infatti divisi fra di loro per orgoglio e vanagloria, il che dava origine a provocazioni ed invidia. Nella loro pretesa di osservare la legge mosaica, quei cristiani erano diventati molto competitivi nella loro vita spirituale, uno cercava di fare di più e di meglio dell'altro. Non era, però, una competizione sana, perché metteva l'uno contro l'altro come se avessero dovuto conquistare "il premio" sbaragliando gli altri. Nella vita cristiana, però, si cammina insieme, portando i pesi gli uni degli altri.

"Provocare" qui significa "lanciarsi una sfida in una competizione". Alcuni erano perciò così sicuri della loro superiorità spirituale da volerla provare in una sorta di gara. Altri si sentivano spiritualmente inferiori e provavano risentimento verso coloro che li facevano sentire in quel modo. La vanagloria è un cancro spirituale che divora ogni possibilità di amore e persino di buon senso. L'unico rimedio per questo tipo di cancro è un'operazione chirurgica radicale: dobbiamo crocifiggere la vanagloria della nostra natura peccaminosa ed essere condotti dallo Spirito, il quale solo ha la potenza di spodestare la dittatura della vanagloria.

La fede cristiana di cui ci parla il Nuovo Testamento equivale ad un impegno personale poco o per nulla compatibile con lo spirito della nostra epoca, che preferisce la vita comoda, il "tutto e subito" conseguito con il minimo sforzo possibile. Questo la dice lunga su tanto "cristianesimo" che si predica oggi, che temo sarebbe irriconoscibile agli antichi apostoli di Cristo venissero a visitarci. Non ne esiste, però, un altro. Il vangelo vissuto è quello annunciato e spiegato dal Nuovo Testamento. Qualsiasi altro è un vangelo falsato, menzognero. 

Preghiera

Dammi, o Signore, di vedere la vita cristiana in modo molto serio ed impegnato come la rinuncia costante e la lotta contro tutto ciò che Tu, nella Tua Parola, ritieni un male, militando con Cristo ed avvalendomi della potenza del Suo Spirito messami a mia disposizione. Amen.

Domenica 13 Ottobre 2019 - Diciottesima domenica dopo Pentecoste

Letture bibliche: Geremia 29:1-7; Salmi 66:1-11; 2 Timoteo 2:8-15; Luca 17:11-19

Preghiera: Signore, ti preghiamo a che la tua grazia sempre ci preceda e ci segua affinché possiamo sempre dedicarci a buone opere; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

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