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2cor7_8 11

Page history last edited by Paolo E. Castellina 13 years, 6 months ago

Un dolore salutare

 

"8 Anche se vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne rincresce; e se pure ne ho provato rincrescimento (poiché vedo che quella lettera, quantunque per breve tempo, vi ha rattristati), 9 ora mi rallegro, non perché siete stati rattristati, ma perché questa tristezza vi ha portati al ravvedimento; poiché siete stati rattristati secondo Dio, in modo che non aveste a ricevere alcun danno da noi. 10 Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c'è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte. 11 Infatti, ecco quanta premura ha prodotto in voi questa vostra tristezza secondo Dio, anzi, quante scuse, quanto sdegno, quanto timore, quanto desiderio, quanto zelo, quale punizione! In ogni maniera avete dimostrato di essere puri in questo affare" (2 Corinzi 7:8-11).

 

Dipende dal carattere di ciascuno, ma quando fra le persone (soprattutto familiari, parenti, amici) sorgono problemi e screzi​​​​​​​​​​ che guastano i rapporti, spesso si preferisce non affrontare la questione direttamente e allontanarsi in silenzio. Sicuramente "è più comodo" perché così si evita "il fastidio" del confronto, della disputa, delle accuse e contro-accuse e magari "l'umiliazione" di ammettere anche errori da parte nostra e di doverne farne ammenda. Si teme il confronto e, "per amor di pace", c'è gente che, per orgoglio, non si parla da anni, rammentandosi a malapena il motivo originale del dissidio! Il tacito "decreto" che ci separa non è più messo in discussione e diventa, per così dire, "istituzionale". Siamo parenti, fratelli, conoscenti, vicini di casa, ma "è stabilito" (?) che non ci si debba più parlare... Veramente ridicolo.

 

Non era questo il metodo dell'apostolo Paolo che, con grande sapienza pastorale, di fronte al problema dei rapporti pregiudicati fra lui e la comunità cristiana di Corinto, non teme di sollevarlo direttamente anche se la cosa sicuramente è spiacevole. "Mette il dito sulla piaga" e "fa male". Sa che così provoca "tristezza" e se ne rincresce, ma il problema deve essere risolto. Ciò che "non funziona" deve essere riparato, o almeno bisogna fare tutto il possibile per ripararlo. Il principio cristiano da onorare, infatti, è "Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti" (Romani 12:18). L'intervento di Paolo li ha "rattristati", ma ha avuto il risultato sperato. Troppo spesso di fronte ad una situazione spiacevole noi diciamo: "non si può fare nulla". Davvero è così? Siamo troppo pessimisti e rinunciatari, neppure tentiamo. Gli interventi risolutori molto spesso hanno successo. La nostra è "poca fede" oppure pigrizia?

 

Ai rimproveri di Paolo la comunità di Corinto reagisce con​​​ la "tristezza secondo Dio" (v. 10), la "tristezza" salutare che Dio intende. 

 

L'espressione "tristezza secondo Dio" [ἡ κατὰ θεὸν λύπη]​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​ non ci è familiare e ci lascia perplessi quanto al suo significato. λύπη (lupe), il termine greco usato nell'originale, significa generalmente dolore nel​​​ corpo e/o nella mente, turbamento, disagio, ​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​afflizione, cordoglio. In questo caso è un dolore necessario, salutare​​, un dolore che Dio approva, permette, raccomanda per il nostro bene. E' un cordoglio che produce dei buoni risultati, un cambiamento interiore, il ravvedimento!​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

 

Il ravvedimento [metanoia (μετάνοια)] ​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​è uno dei valori fondamentali della fede cristiana. L'appello ripetuto dell'Evangelo è infatti: "Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati" (Atti 3:19). Il ravvedimento evangelico denota non solo un cambiamento nella nostra mente al riguardo di qualcosa (la persuasione che il nostro comportamento è peccaminoso e va cessato), ma un riorientamento (la risoluzione) di tutta la nostra persona verso ciò che è giusto. Giuda Iscariota aveva sentito rimorso per quel che aveva fatto nel tradire Gesù e se ne era pentito ["Giuda, che l'aveva tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì" (Giuda 27:3)], ma questo suo pentimento e rimorso non era scaturito nel suo ravvedimento. Quello di Giuda davvero era stata quella che pure l'Apostolo qui descrive, cioè: "la tristezza del mondo produce la morte". Giuda, infatti, per il rimorso si suicida! ["Ed egli, buttati i sicli nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi" (Matteo 27:5)]. La "tristezza del mondo" (quella che non mette in conto Dio) è un rimorso misto ad autocommiserazione e disgusto verso sé stessi. Non guarisce ma deprime ed amareggia. La "tristezza secondo Dio", però, è costruttiva.

 

Il ravvedimento implica il riconoscimento di aver sbagliato verso Dio e verso il nostro prossimo ["Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio" (Luca 15:21)]. I cristiani di Corinto, messi a confronto con il loro peccato di non aver difeso Paolo di fronte i suoi detrattori, si erano dispiaciuti per il dolore che gli avevano causato. Questo è rimorso, pentimento. Il ravvedimento, però, va ben oltre questo: non solo riconosce il male commesso ma cerca di rettificarlo. I cristiani di Corinto avevano ammesso di aver sbagliato ed avevano disciplinato chi se n'era reso responsabile: "Basta a quel tale la punizione inflittagli dalla maggioranza" (2 Corinzi 2:6).

 

La severità di Paolo, poi, non aveva prodotto "danni" ["...non aveste a ricevere alcun danno da noi" (v. 9), lett. "non siete stati danneggiati da noi"]. Il verbo che qui usa [ζημιωθῆτε, da ζημιόω (zémioó)] era usato per i danni materiali dovute a circostanze o situazioni sfavorevoli. La riprensione, l'esercizio della disciplina, infatti, può produrre dei danni se non fatta nel modo giusto (da qui, ancora, l'efficace e corretto metodo pastorale), perché una volta amministrata la disciplina, non deve rimanere più alcun risentimento, chi ha sbagliato deve essere riaccolto, altrimenti potrebbe essere sopraffatto ["ora, al contrario, dovreste piuttosto perdonarlo e confortarlo, perché non abbia a rimanere oppresso da troppa tristezza" (2 Corinzi 2:7)].

 

Ecco così che la comunità di Corinto, alla riprensione di Paolo, risponde nel modo giusto​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​: "La tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza" (v. 10). Qui non si intende tanto la "salvezza eterna" quanto i benefici effetti del ravvedimento, la salvezza dei rapporti umani pregiudicati. 

La reazione salutare dei cristiani di Corinto si era manifestata negli sette modi che l'Apostolo stesso qui descrive e che dimostrano la loro "purezza", cioè sincerità, mancanza di malizia.

 

(1) Premura (o "sollecitudine"). Il termine "premura" significa in primo luogo "fretta" e poi "attenzione, riguardo particolare verso qualcuno o qualcosa", diligenza - il suo opposto è negligenza ed indifferenza. La "tristezza secondo Dio" promuove la determinazione ad operare per porre rimedio all'errore o al peccato commesso. (2) Scuse (o "giustificazione"), cioè il proprio dispiacimento e il chiedere perdono. Il suo opposto è sforzarsi a negare il fatto, a giustificarlo nel senso di trovare scusanti, attenuanti, "cause" come se fossimo stati sopraffatti da qualcosa di "più forte di noi" e "non abbiamo potuto resistere", tanto da dire "non è stata colpa nostra".​ (3) Sdegno (o "indignazione"). Invece che esserne indifferente, la persona che ha "tristezza secondo Dio" è "indignata" nel senso di "disgustata di sé stessa", "arrabbiata con sé stessa" per aver commesso tali atti riprovevoli.​ (4) Timore timore di ripetere l'atto, l'ansia prodotta nella mente dalla sola possibilità di ricadervi.​ (5) Desiderio (o "affetto", "affezione", "bramosia" a seconda delle traduzioni), il desiderio che Dio ci assista e ci rafforzi per non incorrere di nuovo in tale errore. (6) Zelo nel praticare quei sacri doveri che sono all'opposto di quel peccato. (7) Punizione (o "soddisfazione") di sé stesso, il desiderio di mortificare sé stesso ogni giorno per "tenere a bada" reprimere la propria vecchia natura peccaminosa. Quando una persona trova in sé stessa questi frutti, non deve dubitare che la sua "tristezza" sia davvero "secondo Dio", cioè sia davvero ravvedimento.

 

L'approccio autenticamente evangelico al peccato confessato è sempre qualcosa di costruttivo all'insegna della redenzione, del ristabilimento del trasgressore pentito nella piena comunione con Dio e con le altre persone.

 

Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio per la lezione che apprendo nella riflessione di oggi.  Aiutami affinché io prenda sempre sul serio il peccato e le sue conseguenze, lo confessi e me ne ravveda in vista del mio ristabilimento della piena comunione con Te e con coloro che ho danneggiato, a lode e gloria della grazia che mi manifesti nel mio Signore e Salvatore Gesù Cristo. Amen.

 

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